A scuola di evoluzione con il coronavirus

Evoluzione, una parola che sentiamo dire molto spesso ma il cui esatto significato ci sfugge altrettanto spesso. Il virus SARS-CoV-2 ci viene inaspettatamente in aiuto per comprenderla meglio e ci dà speranza per il futuro.

Charles Darwin, il “padre” dell’evoluzione in biologia (Di Julia Margaret Cameron – Sconosciuta, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2649065)

Perché usare SARS-CoV-2 come esempio di evoluzione?

La pandemia (parola che i media amano, a quanto pare) è iniziata nel marzo del 2020 e quindi due anni fa. Ma da circa un anno siamo bombardati da notizie terrorizzanti relative all’emersione di nuove “varianti” di coronavirus. Ma esattamente cosa sono queste nuove “varianti” e perché emergono? Come fa un virus a mutare nel corso del tempo e come fanno queste forme mutate a soppiantare le forme precedenti?

Questi sono tutti fenomeni che rientrano all’interno del fenomeno più grande chiamato evoluzione, che coinvolge tutta la biosfera e non solo i virus. Tuttavia i virus sono un esempio molto interessante perché si riproducono molto velocemente (una persona infettata può produrre milioni di copie delle particelle virali di partenza), permettendo quindi di osservare il processo evolutivo in un tempo molto più breve di quello che servirebbe con altri modelli.

Per esempio, per studiare l’evoluzione sulla nostra specie servirebbero millenni di osservazioni, forse milioni di anni, rendendo un tale studio impossibile. Tuttavia specie che si riproducono più in fretta accorciano il tempo di evoluzione; tali fenomeni infatti si studiano normalmente su insetti come la Drosophila melanogaster, che produce nuove generazioni in poche settimane. Una simile velocità di riproduzione consente di condensare in qualche anno i millenni di osservazione che servirebbero per vedere direttamente l’evoluzione di un mammifero.

Con i virus è tutto ancora più veloce e un’evoluzione importante si può avere appena in due anni, come nel caso nel nostro SARS-CoV-2.

Come funziona l’evoluzione

L’evoluzione è in realtà un insieme di fenomeni diversi che come risultato danno il cambiamento nel tempo degli organismi. Sebbene l’idea abbia iniziato a farsi strada già da prima, la teoria nella sua interezza fu sviluppata da Charles Darwin e pubblicata nel 1959. L’evoluzione di Darwin è molto famosa, tuttavia è meno noto che lo studioso abbia teorizzato solo uno dei tre fenomeni principali che permettono l’evoluzione delle specie; gli altri due, la deriva genetica e la mutazione genetica, sono stati scoperti solo nella seconda metà del XX secolo e quindi circa un secolo dopo la pubblicazione di Darwin.

A Darwin va il grande merito di aver compiuto una quantità immensa di osservazioni che gli hanno permesso di mettere in ordine le teorie già formulate sull’evoluzione, ponendo la base per tutte le scoperte della moderna biologia. Sebbene quindi la sua idea di evoluzione si sia evoluta nel tempo (chiedo perdono per il gioco di parole, ma non ho saputo resistere), Charles Darwin resta uno dei più importanti scienziati della storia, uno dei padri della moderna biologia.

I tre fenomeni che insieme permettono l’evoluzione

L’evoluzione si può definire come il cambiamento degli organismi nel corso del tempo, che come tutti i fenomeni naturali segue delle regole precise. In particolare l’evoluzione si può suddividere in tre fenomeni più piccoli che, insieme, guidano il cambiamento nel tempo delle specie. Vediamo brevemente questi tre fenomeni. I tre fenomeni sono:

  • Mutazione genetica, cioè il cambiamento casuale dei geni
  • Deriva genetica, ossia la variazione casuale della frequenza di un gene all’interno di una popolazione
  • Selezione naturale, ovvero il fenomeno per cui gli individui più adatti alle caratteristiche ambientali tendono a generare un numero maggiore di discendenti.

Ovviamente si tratta di una semplificazione davvero brutale di una teoria, l’evoluzione, che invece è estremamente articolata e complessa. Mi riservo quindi di approfondire l’argomento in un futuro articolo, per quello odierno ci accontentiamo di questa semplificazione estrema.

L’evoluzione per i virus non è diversa

Sebbene un virus non sia affatto un organismo e sia molto diverso dalle altre forme di vita (parlo meglio dei virus e delle loro caratteristiche in questo articolo), esso deve sottostare agli stessi meccanismi evolutivi seguiti da tutti gli altri, e quindi a mutazione genetica, deriva genetica e selezione naturale. Possiamo considerarla una “regola generale” della vita.

Nel caso di SARS-CoV-2 il virus “originario” scoperto in Cina alla fine del 2019 aveva certe caratteristiche, come la tendenza a infettare vari organi e specialmente i polmoni, portando alla morte per polmonite un numero relativamente alto di ospiti. La cosiddetta “variante Omicron” che invece è attualmente dominante in tutto il mondo ha diverse caratteristiche, come per esempio una ridotta capacità di infettare i polmoni che si traduce in una malattia meno grave (rimando a questo articolo di Le Scienze per una trattazione più rigorosa). Il rovescio della medaglia però è che Omicron è più contagiosa di Delta, la “variante” che era dominante fino alla sua comparsa.

Come si evolve un virus?

Come per tutte le forme di vita, le mutazioni che avvengono durate la replicazione del materiale genetico (generalmente DNA, RNA nel caso di alcuni virus) provocano la variazione della struttura del capside esterno del virus. Il capside è un “contenitore” formato da proteine che protegge il materiale genetico al suo interno e ha sulla superficie esterna delle strutture che gli consentono di “ingannare” una cellula per farsi portare all’interno e infettarla.

Una mutazione genetica sfocia quindi nella variazione di queste proteine, le quali inducono un comportamento diverso da parte del capside. Nel caso di Omicron, il virus ha avuto una serie di mutazioni che hanno modificato la struttura delle proteine esterne che servono a penetrare nelle cellule; il risultato è una notevolmente accresciuta capacità da parte del virus di infettare le cellule delle vie aeree superiori, che ha perà ridotto anche notevolmente la capacità di infettare le cellule polmonari. Questa variante quindi, rispetto al virus originario cinese, ha un’accresciuta capacità di trasmettersi da persona a persona (perché restando nelle vie aeree superiori vengono espulse più particelle virali), ma genera anche dei sintomi più lievi perché ha una minore capacità di infettare i polmoni.

La maggiore infettività è un vantaggio per questo virus rispetto alle altre varianti, cosa che gli ha permesso di soppiantarle e farle quasi scomparire nel giro di pochi mesi. Ma perché questo è un vantaggio?

Il “vantaggio” per un virus

Potremmo pensare che un virus abbia un vantaggio quando è più letale, ma non è così. Parlanto in termini antropomorfi, un virus non ha “interesse” nell’uccidere gli ospiti ma solo nel diffondersi al numero più alto possibile di persone. Più diffusione significa che si riproduce di più e che rischia di meno l’estinzione; praticamente anche i virus sono interessanti solo e soltanto alla propagazione della specie, come tutte le altre forme di vita.

Può sembrare paradossale, ma essere letali per un virus non è affatto un vantaggio. Il perché è facile da capire: un ospite affetto da sintomi molto debilintanti e che muore in fretta può diffondere poco il virus verso altri ospiti; al contrario un ospite con sintomi leggeri e che sopravvive all’infezione può muoversi tra gli individui della sua stessa specie e diffondere maggiormente il virus, producendo quindi un numero maggiore di discendenti.

Ecco quindi che nel corso del tempo un virus diventa meno letale ma più contagioso, semplicemente perché gli conviene. Avevo già anticipato tale fenomeno in questo articolo, pubblicato il 15 novembre 2020, quindi in una delle fasi più buie della pandemia. Come facevo a saperlo? Semplice: perché tutti i virus influenzali conosciuti hanno avuto la stessa identica evoluzione, segno quindi che è una cosa naturale tipica di questi virus.

Ma il virus potrebbe tornare a essere più letale?

Questa è la domanda che spesso ci si pone sui media e in rete, anzi anche alcune autorità sanitarie e personaggi in vista mettono in guardia da questa possibilità. Il problema è che questi studiosi e funzionari sono generalmente medici, che conoscono molto bene la medicina ma che purtroppo sanno poco di evoluzione. Magari sarebbe opportuno colmare tale lacura per evitare di dire cose scorrette, ma non credo che sarà mai fatto.

Sebbene non sia impossibile che in virus torni a essere più letale, la probabilità che ciò avvenga rasenta l’impossibile in quanto sarebbe come “tornare indietro” e non esitono casi in cui l’evoluzione sia “tornata indietro”. In parole povere un virus molto contagioso e poco letale dovrebbe rinunciare a uno dei vantaggi che gli permettono di diffondersi maggiormente nella popolazione, cioè la possibilità di infettare più persone provocando sintomi più leggeri. Una cosa simile vorrebbe dire evolversi al contrario e perdere un vantaggio, cosa che in base alle leggi dell’evoluzione non può avvenire: solo il più adatto soppianta tutti gli altri, una mutazione che aumenti la letalità del virus è possibile ma non si fisserebbe nella popolazione dal momento che non avrebbe nessun vantaggio su Omicron.

Invece è piuttosto probabile che la letalità di SARS-CoV-2 scenda ancora, avvicinandosi ad altri quattro coronavirus noti che provocano alla nostra specie il raffreddore.

Staremo a vedere, ma credo che stavolta potremmo essere fiduciosi.

Ivan Berdini

Zoologo e appassionato di fotografia