La plastica: è giusto demonizzarla?

Da alcuni anni stiamo assitendo alla progressiva demonizzazione della plastica, vista come un mostro che sta uccidendo il pianeta. Ma davvero le cose stanno così o si tratta della solita eccessiva semplicazione ecologista? Cerchiamo di scoprirlo insieme.

Cos’è la plastica?

Vari esempi di oggetti in plastica di uso comune (Di ImGz – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3781690)

Sotto il nome generico di “plastica” ricade un’ampia varietà di materiali di origine sintetica, tutti accomunati dall’essere dei polimeri. Sarebbe infatti più corretto parlare di “materie plastiche” anziché genericamente di plastica.

Un polimero è un composto chimico di tipo organico a elevato peso molecolare. Tradotto significa che la molecole che formano i polimeri sono molto grandi, in pratica si tratta di lunghe catene in cui una molecola più piccola (detta monomero) costituisce una unità ripetuta migliaia di volte.

I polimeri non sono solo artificiali, anzi ne esistono moltissimi naturali. Per esempio tutte le proteine sono dei polimeri costituiti da catene in cui si ripetono in ordine variabile i 20 amminoacidi conosciuti; altri ottimi esempi sono gli zuccheri come la cellulosa o l’amido, che sono prodotti ripetendo migliaia di volte molecole di glucosio.

Il cammino verso le plastiche è stato lungo ed è inziando nel 1855, quando lo svizzero G. Andemars brevetto un metodo chimico per produrre una “seta artificiale” a partire dalla cellulosa; tale materiale oggi è chimato Rayon.

Nel corso del tempo le tecniche di lavorazione e le conoscenze chimiche sono state affinate, fino ad arrivare nel 1954 al polipropilene isotattico. Tale materiale, commercializzato con il nome di Moplen, è stato invenato dall’italiano Guido Natta e gli valse il Nobel per la chimica nel 1963.

Da allora sono state inventate decine di tipi diversi di plastiche, con caratteristiche diversissime e utilizzate in innumerevoli modi differenti in tutti i settori industriali.

Normalmente le materie plastiche vengono sintetizzate a partire da derivati del petrolio, ma possono essere prodotte anche da fonti naturali come per esempio l’amido del mais (che è esso stesso un polimero, ricordiamolo).

Il problema ambientale della plastica

La plastica è stata una vera e propria rivoluzione per l’industria e per le nostre vite, tanto che oggi ne siamo circondati.

Tuttavia però uno dei maggiori vantaggi della plastica è anche il suo problema ambientale più grave: la sua resistenza chimica. Tutti i materiali conosciuti finora erano caratterizzati da una “emivita”, cioè un periodo di tempo necessario alla loro completa decomposizione se abbandonati nell’ambiente. Metalli, vetro, ceramica, tessuti, cuoio, ecc. sono materiali che nel giro di alcuni decenni o secoli vengono distrutti dagli agenti esogeni e ritrasformati in qualcosa di simile al materiale di partenza usato per produrli (sabbia silicea, ossidi metallici, sedimenti, ecc.). Già questo è un problema, perché significa che i rifiuti impiegano secoli per decomporsi se non correttamente smaltiti, ma la plastica è diversa.

La plastica è talmente resistente che un oggetto realizzato con essa può impiegare migliaia o decine di migliaia di anni per decomporsi completamente. In molti casi un oggetto in platica subisce dagli agenti esogeni un’azione che lo sminuzza in piccolissime particelle, chiamate “microplastiche”, che si accumulano nelle catene alimentari e che finiscono anche sulle nostre tavole.

Per non parlare delle stragi di animali, specialmente marini, che avvengono ogni anno. Capita spesso purtroppo che un animale resti intrappolato in una cinghia oppure ingerisca un rifiuto credendolo erroneamente cibo, cose che di solito ne comportano la morte.

Ogni anno milioni di tonnellate di plastica si riversano in mare o vengono abbandonati sulle terre emerse, con danni ambientali ingenti.

La campagna di demonizzazione della plastica

Questo è il quadro generale ed è palese che abbiamo un grosso problema. Ciò che non mi convince è la soluzione. Le associazioni ecologiste hanno iniziato pesanti campagne di demonizzazione della plastica, nelle quali essa viene trattata come se fosse il più grande male della storia; un mostro che ci sta uccidendo. Si è arrivati addirittura a chiedere di annullare il premio Nobel attribuito a Guido Natta, ma è davvero colpa sua se noi usiamo male la sua invenzione?

Ovviamente i politici e le grandi aziende hanno intravisto la possibilità di guadagno (sia economico che elettorale) e hanno iniziato a cavalcare la campagna anti-plastica, anzi “plastic-free” (perché ogni iniziativa politica ha sempre il suo orrendo quanto inutile inglesismo). Addirittura siamo arrivati ad aziende che vendono prodotti rigorosamente senza plastica e questo ne farebbe automaticamente prodotti ecologici (sbagliando, perché l’impatto ambientale è un qualcosa di multifattoriale e il rimuovere la plastica non rende necessariamente un prodotto più ecologico).

Ma invece occorre riflettere bene su questa campagna, perché come al solito le associazioni ecologiste e i politici hanno semplificato troppo il problema.

Una questione molto più complessa

La realtà è notevolmente più complessa della propaganda ecologista e semplicemente non possiamo fare a meno della plastica. Demonizzarla e rinunciarvi è la soluzione sbagliata.

L’insieme di materiali comunemente noti come “plastica” ha una quantità di utilizzi semplicemente incredibile, addirittura in favore dell’ambiente. La plastica in cui sono avvolti i nostri alimenti ne è un ottimo esempio: essa allunga notevolmente il tempo di conservazione degli alimenti, diminuendo così lo spreco alimentare e il suo impatto ambientale (qui si può approfondire questo argomento). Un altro esempio è il settore medico, infatti sono moltissimi gli strumenti medici in plastica e in questo settore la pratica “usa e getta” permette di avere sempre strumenti sterili e pronti all’uso. Chissà quante vite ha salvato la tanto odiata plastica.

Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Il problema della plastica è il suo smaltimento, non è il materiale in quanto tale. La ritroviamo sparsa nell’ambiente perché siamo noi a usarla male, abbandonadola ovunque.

In realtà gli interventi da fare esistono e dovrebbero essere concentrati in due macro aree:

  • Razionalizzazione della plastica. Ragionando in modo critico su tutti gli utilizzi della plastica si potrebbe certamente trovare il modo di usarne meno per la stessa applicazione. Per esempio, a tutti è capitato di trovare imballaggi esagerati nei prodotti acquistati. Certamente la quantità di plastica può essere diminuita per lo stesso scopo, arrivando al quantitativo minimo indispensabile.
  • Smaltirla correttamente. La plastica si trova nell’ambiente perché vi viene abbandonata. Siamo noi quindi a dover imparare che ogni rifiuto di plastica non deve mai e poi mai essere abbandonato, ma deve essere sempre conferito alla raccolta differenziata. E qui devo fare una tirata d’orecchi alle istituzioni pubbliche: troppo spesso la differenziata nelle nostre città è imabarazzante, stessa cosa per quanto riguarda i servizi di pulizia.
  • Sempre riguardo lo smaltimento, chiunque venga sorpreso ad abbandonare rifiuti di qualunque tipo andrebbe pesantemente sanzionato (l’abbandono dei rifiuti è un altro problema multifattoriale, in cui concorrono complessità dello smaltimento corretto, totale assenza di sorveglianza e inciviltà diffusa).

Alla luce di quanto detto finora, penso che sia giunto il momento anche di superare le mascherine. Sono fatte in plastica e consumarne miliadi al giorno non è certo un toccasana per la salute dell’ambiente e nemmeno per la nostra. Il loro uso può essere una misura emergenziale, ma non è possibile pensare di portarle all’infinito. Anche se purtroppo le autorità sembrano più interessate a fornire una sorta di talismano ai cittadini piuttosto che a risolvere il problema in un modo più sostenibile nel lungo periodo (sostenubile per l’ambiente e per i cittadini stessi).

I problemi complessi non possono avere soluzioni semplici, ma soluzioni altrettanto complesse. Non dimentichiamolo mai, perché non basta che un prodotto sia privo di plastica per farlo diventare automaticamente ecologico: l’impatto ambientale è un qualcosa di molto complesso e pieno di sfaccettature, anche inaspettate.

Ivan Berdini

Zoologo e appassionato di fotografia